by Rick Moody
[tradotto
in italiano da Romina Daniele e Lorenzo Marranini]
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Recentemente, stavo cercando ancora a fondo nella giungla del sito
della CD Baby, dove nessuna tiratura è limitata e nessun approccio
alla musica troppo individuale, e a tal proposito ho trovato un bel
po' di grandi lavori recentemente, alcuni dei quali io tratterò in
questa pagina prossimamente, ma niente è più interessante
dell'esponente italiana della tecnica vocale estesa Romina Daniele.
Romina Daniele è nata a Napoli, ma oggi vive a Milano, dove,
immagino, il terreno è più fertile per la sperimentazione vocale. Il
disco nel quale mi sono imbattuto, del tutto casualmente, è il suo
primo, Diffrazioni Sonore (2005), che consiste interamente di tracce
sovrapposte, e vocalità spesso del tutto improvvisata, in parte
trattata digitalmente (EQ radicali, eco, e poco riverbero),
per il resto utilizzata molto bene da sola. L'approccio della
Daniele ha qualcosa in comune con i grandi esempi di questo tipo di
"vocalità" (di cui più sotto), ma è anche del tutto singolare dal
momento che la cantante non ha mai studiato composizione, e sembra
provenire molto più dai territori della letteratura, e in
particolare da quelli della filosofia europea, piuttosto che da un
rigoroso apprendistato musicale.
Il suo secondo album, Aisthanomai, Il Dramma Della Coscienza
(2007), è anche più rigoroso del primo, poiché contiene un
maggior numero di riferimenti testuali e filosofici, e suoni
elettronici in aggiunta alla voce. Aisthànomai ha anche un
booklet profondamente ricco (disponibile in inglese), che offre un
supporto teorico ed esprime l'idea formale del lavoro.
Da quanto detto, vi sarete
fatti l'idea che il lavoro della Daniele sia nient'altro che
complicato, impegnativo e metodico, ma, a dire il vero, il che
costituisce la sua sfida, è anche gioioso, dolce, qualche volta
curioso, e, all'occasione, attento ad una musica meno dotta come jazz,
blues, e pop, anche se questi sapori sono usati in un modo molto più
espressionistico rispetto ciò a cui siamo abituati. Questi due dischi
mi sono piaciuti così tanto - mi hanno sorpreso come poche cose mi
hanno sorpreso recentemente - che ho deciso di provare a contattare la
Daniele e a farle qualche domanda. Come ci si aspetta da coloro il cui
lavoro è molto personale e riservato, la Daniele risponde molto
brevemente alle domande personali, e se si sofferma lo fa con durezza,
pertanto avverto il lettore in cerca di un'intervista convenzionale,
che qua non c'è niente del genere. Tuttavia quest'intervista è tanto
un saggio, quanto un documento confidenziale. Poiché la Daniele
ostenta un po' nel proporsi, fornisco qualche link per i più curiosi.
La sua pagina CD Baby è
qui. Un paio di video molto illuminanti sulle sue rare
performance (lei stessa dichiara di aver avuto solo dodici
performance) sono disponibili su YouTube, come
questo. E, per la cronaca, quest'intervista è
stata condotta via mail in inglese ed italiano, e tradotta poi in
inglese da Giorgio Testa. Con qualche piccolo adattamento fatto da me
e dalla stessa Romina Daniele (il suo inglese è molto forte.)
Rick Moody:
Dei due album disponibili negli Stati Uniti (con CD Baby), il primo,
Diffrazioni Sonore, è forte di tanti riferimenti musicali. Io
suppongo queste influenze includano, più chiaramente, Meredith Monk
e Diamanda Galás, ma anche, in un certo modo, Yoko Ono, Nina
Hagen, Tim Buckley, e così via. In ogni caso (e penso soprattutto
alla Monk e alla Galás), tu gestisci questi riferimenti in virtù
della tua essenziale europeità. Ovvero, tu canti usando la tecnica
vocale estesa in un modo che richiama compositori americani, ma che
è anche secondo me, molto più italiano, e persino pan-europeo. Puoi
parlare un po' dei tuoi riferimenti vocali, come sei giunta a questo
lavoro, e che tipo di impatto ha avuto su di te? Che senso ha per te
utilizzare questo stile in modo europeo?
Romina Daniele:
Diffrazioni Sonore
è un saggio della mia ricerca condotta a partire dal 2000 circa in
diversi ambiti: la vocalità prima di tutto, la composizione con
mezzi elettronici, la filosofia applicata alla multimedialità.
Studiando storia e
teoria del cinema, critica d’arte e analisi, estetica, mi sono
avvicinata agli ambiti del pensiero a partire dai quali la mia
ricerca si muove, come la filosofia di Gilles Deleuze e la teoria di
Michel Chion applicate al cinema, arte della multimedialità.
Mi riferisco in particolar modo alle fondamenta linguistiche e
morfologiche della mia produzione, tali in virtù della
relazione/coesistenza che riguarda diversi linguaggi quali la
vocalità, la poesia, la scrittura, la musica, l’elettronica, l’arte,
il pensiero, l’uomo.
Alla
musica di Meredith Monk mi sono avvicinata sin dai primi tempi
grazie ad Auli Kokko – vocalist svedese della band del sassofonista
napoletano Daniele Sepe, attivo nell’ambito della popular-jazz – con
cui ho studiato circa tre anni intorno al 2001. Nello stesso periodo
studiavo anche le grandi voci jazz, prediligevo il blues e le
esperienze di contaminazione tra il jazz e il rock. Ascoltavo
continuamente e soprattutto i lavori di Demetrio Stratos.
Stratos è il fondamento.
Spesso ho avuto modo di dire che il mio approccio vocale sorge a
partire dalla sua esperienza senza limiti; purtroppo ancora poco
nota fuori dall’Italia o dall’Europa. La stessa Diamanda Galás venne
a conoscenza di Stratos in occasione del Premio a lui intitolato,
dedicato alla sperimentazione musicale in genere, che venne a
ritirare nel novembre del 2005. Io conobbi Diamanda Galás del resto
in quella circostanza, in quanto ottenni il Premio per le giovani
proposte; ricordo che anche Meredith Monk ha vinto tale premio nel
2007 e ho potuto conoscerla per lo stesso motivo.
Come la Galás non
conosceva Stratos, tuttavia, anche io non conoscevo la Galás ai
primi tempi del mio percorso. Poi qualcuno mi fa notare la vicinanza
e allora ascolto la sua discografia trovandola insuperabile. Penso
che tali similitudini siano da considerare nell’ottica della ricerca
di una vocalità allargata e sulla voce stessa al di fuori di ogni
tipo di convenzione, e non all’interno di una valutazione
stilistica, poiché lo stile al limite consiste nella declinazione
personale dei risultati di una certa ricerca. Va inoltre considerata
la storia, in rapporto alla quale ogni esperienza si pone.
Dal punto di vista
storico, ciò che oggi si può definire “vocalità allargata” è una
concezione e una dimensione interna al percorso “euro-colto” della
musica, la quale si allontana progressivamente dalle forme del
linguaggio tradizionale conducendo, a partire dalla seconda metà
dell’Ottocento, dalla complessità armonica di Richard Wagner alle
esperienze elettroacustiche degli anni Cinquanta del Novecento. In
tale percorso rientrano le vaste e complesse esperienze della
contemporaneità storica e dei suoi fautori, di cui cito un caso per
tutti: la “dodecafonia” schönbergiana. E’ proprio
Schönberg, infatti, che
nel Pierrot lunaire (1899) e per la prima volta utilizza lo
stile “sprechgesang”, in cui parlato e cantato si fondono; esperienze
in tal senso vengono poi affrontate dagli allievi Berg e Webern e da
altri, in luoghi diversi dell’Europa e dunque del mondo; sino a
giungere al panorama attuale e contemporaneo. Anche di quest’ultimo
cito un solo caso: Visage di Luciano Berio (1960), brano
per suoni
elettronici su nastro magnetico e la voce di Cathy Berberian,
fondato sulla carica simbolica e rappresentativa dei gesti e delle
inflessioni vocali, “dal suono inarticolato alla sillaba, dal riso
al pianto e al canto, dall’afasia a modelli di inflessione derivati
da lingue specifiche: l’inglese e l’italiano, l’ebraico, il dialetto
napoletano, ecc.”
Un aspetto fondamentale
da tener presente è inoltre il concetto di
“materiale” – o “idea di
costruire il timbro” (Chion) – che si pone per designare quella cosa
a partire dalla quale lavora il compositore. Il termine “materiale”
compare infatti nel momento in cui la musica occidentale rifiuta gli
elementi classici, quali note, temi, accordi, arpeggi. In relazione
a ciò si può parlare di “materia sonora”, di “materia vocale” e
dunque di “vocalità allargata”.
Anche Diamanda Galás e
Meredith Monk, da grandi musiciste e compositrici, si sono
confrontate con questo percorso “euro-colto” ricavandone la loro
personale e unica visione della musica.
Anche
Stratos ha lavorato sulla voce oltre i limiti noti. C'è qualcosa,
tuttavia, che rende ancora più particolare nella sua opera il
discorso vocale, in quanto quest'ultimo viene sganciato dal rapporto
con la composizione musicale. In tal senso, la mia esperienza, a
partire da Stratos, si concentra sulla consapevolezza necessaria di
“essere in quanto voce”, il riconoscimento della voce come
espressione potente del sé al di là di qualsivoglia settore o ruolo
canonico, proiettandosi verso l'indifferenziazione stilistica a fini
artistici ed esplorativi; sulla forza incondizionata non
indifferente di volontà conoscitiva nei confronti di se stessi in
quanto “voce-che-si-da-voce”. In tal modo io rifiuto la pratica e il
concetto di dottrina e indottrinamento e ogni maniera: la mia
maniera consiste nel non avere maniera, come ho detto talvolta
citando Hegel; considerando l'indottrinamento quello che serve a
contenitori sterili così da poterci attaccare sopra un'etichetta.
Moody:
Parlaci un po' della tua educazione, come teoria e analisi si sono
sviluppate, e come si esprime nel tuo lavoro l'interesse per la
filosofia?
Daniele:
Le fondamenta
linguistiche e morfologiche della mia produzione, il rapporto tra
diversi linguaggi, a cui accennavo sopra, costituiscono un
territorio tale da essere definito filosofico. I miei studi
sono principalmente umanistici, e la problematica umana è quella che
mi sta a cuore, dalla quale scaturisce ogni forma artistica,
compreso la mia. Procedo con ordine.
Diffrazioni Sonore
è un’esperienza nata a partire da un’apprensione rivolta alla
relazione tra l’improvvisazione e la costruzione, al tra
che divide la percezione che ha luogo nell’istantaneo, e la
coscienza di percepire che riguarda la memoria “come un
prolungamento del passato nel presente” (Bergson), quindi come parte
costituente dell’individuo. D’altro lato, il tra indica un
non-luogo, un vuoto, un “non definibile”, sulla cui indagine, dal
punto di vista artistico, mi applico, considerandola la chiave del
processo creativo.
L’ultima composizione,
emblematica, di Diffrazioni Sonore ha infatti il titolo di
Rizhome, termine con cui Deleuze e Guattari indicano ciò che
«non incomincia e non finisce, è sempre nel mezzo, tra le cose,
inter-essere, intermezzo. L’albero [il sistema gerarchico e
settoriale] è la filiazione ma il rizoma è alleanza, unicamente
alleanza.
Come si legge nel
saggio incluso in Aisthànomai, il Dramma della Coscienza, <<la
mia intera opera (a tratti testuale, vocale, musicale, teatrale)
non vuole essere settoriale, né lineare, ma reticolare, non un
sistema definito, ma "una
circolarità aperta continuamente ri-definibile e non riconducibile a
un’unità. È una catena di rinvii che si presenta attraverso la
differenza: negando ogni razionalità onnicomprensiva." Quello che io
chiamo l’agire, il lavorare nelle piaghe sterili del linguaggio
comune in cui dominano i concetti di “centro”, “struttura”,
“campo”; a favore di un attivismo “non comune” che volge invece a
“de-centramento”, “proliferazione”, “dislocamento”.>>
Così, producendo
Diffrazioni, mi dicevo «interessata a ciò che Deleuze chiama
"entre-deux-coup-de-dés"», i principi di connessione, eterogeneità,
molteplicità, che coesistono in prospettiva con l’opera che hanno
ispirato sotto forma di “risonanza sensoriale” (come si esprimeva
Eijzenštejn); costruendo unità dinamiche in ciascuna delle quali si
raccolgono i principi degli stadi precedenti.
Rifuggivo la presenza
di un significato, oggetto di riconoscimento o di decifrazione,
puntando alla dispersione, il gioco di specchi dei significanti,
senza sosta riproposti da un ascolto che ne produce continuamente di
nuovi; senza mai fissare il senso nelle strutture note del pensiero,
ma lavorando alla ricerca di nuovi sensi, nuove articolazioni del
pensiero. Questa idea costituisce uno dei pilastri del mio fare, pur
declinata diversamente infonde Aisthànomai, il quale – non
dimentichiamo – rimanda all’etimologia della parola “estetica” come
scienza del pensiero in rapporto all’arte. Il riscontro
immediatamente pratico di questa idea è che “ogni nuovo problema
esige uno sforzo interamente nuovo, il rinunciare a certe abitudini
di pensare e anche di percepire” (Bergson).
Occorre utilizzare il
pensiero in un altro modo perché l’uomo possa cambiare e
rinnovarsi; e solo in conseguenza di ciò l’arte può e deve
interrogarsi sui modi possibili; il requisito indispensabile per far
ciò è porsi al di fuori degli schemi noti di pensare e così dunque
di operare, alimentando il dubbio e il vortice interiore. Ripeto: è
anzitutto una questione di articolazione del pensiero, umana, del
modo di pensare, mentale: è qui che nasce la creazione; in secondo
luogo, e per conseguenza, di operare e fare. – Discuto di questo e
di altro ancora in relazione ai miei processi di creazione nel
saggio Voce sola a cui sto lavorando, che sarà edito in
Italia l’anno prossimo. -
Moody:
Io so che Meredith Monk pensa ad alcune delle sue voci come
caratteri espressivi particolari, quasi come se la tecnica vocale
estesa le permettesse di avere una componente di personalità
multipla. Mi domando se nel tuo caso, soprattutto perché la tua voce
ha così tanti aspetti nella sua estensione in più ottave, c'è un
orientamento per cui a suoni particolari corrispondono caratteri
particolari. E se ci sono dei personaggi, c'è una narrazione? O la
narrativa è un modo troppo lineare per queste suites musicali?
Daniele:
Non mi riferisco mai nel miei canti a caratteri/personaggi in senso
narrativo e non mi interesso in musica di narrazione quanto
piuttosto di poesia. Le caratteristiche vocali differenti che
utilizzo si identificano con me stessa, o al limite vanno intese, in
relazione a quanto dicevo prima, come
regimi di segni
differenti, differenti statuti di stati di cose, principi di
connessione, eterogeneità, molteplicità, che posso rappresentare con
la forza di me stessa e della mia opera.
Per
meglio sviluppare questo punto, cito direttamente in anteprima dal
saggio in lavorazione:
Il vero punto è la stessa percezione delle differenze – tornano le
“piaghe”, ecco l’“indifferenziazione” – a cui segue lo scambio tra
le letture, tra i diversi corsi del pensiero di ogni singolo, “tagli
di ripresa” della coscienza, possibili con l’osservazione e
l’allontanamento, ovvero nella differenza. Una dimensione
percettiva questa che non si svolge con il raziocinio, ma
nell’orbita della pura intuizione: tale è la sintesi
conoscitiva.
Allora la “messa in forma”, l’opera come l’abbiamo, la sua
costruzione stupisce prim’ancora di essere letta, in quanto processo
in atto con evidenza: tensione derivante dalla trasformazione delle
relazioni,
«il “senso” di un rivolgimento interno al contenuto».
Il contenuto non è una storia narrata, un testo interpretato,
un’emozione precisa, comune, individuabile; ma un fenomeno,
«distribuzione degli elementi della composizione». Il rivolgimento è
nel fenomeno, nel senso che è del fenomeno: la composizione in fase
operativa, il discorso che discorre: «cominciando dalla concezione
dell’oggetto nel suo insieme per poi penetrare nella composizione e
nella struttura della forma dell’opera fino alle sue più piccole
particelle.»
L’opera si forma nell’ascolto. Diffrazioni è un processo:
propagazioni di intuizione agenti attraverso i miei processi
percettivi e mentali, e così attraverso la mia opera (la mia
azione).
Il concetto della diffrazione era per me così posto, nell’intuizione
del processo. Questo il pensiero più volte ribadito nel corso della
registrazione di alcune tracce, ma a lettere non troppo chiare con
la frase seguente: «Con diffrazioni interne ed esterne alla mia
opera e a me stessa, io differisco.» Pensavo alla percezione, non al
conflitto tra gli opposti “interno” ed “esterno” – contenuto e forma
in connessione alla lunga “tradizione estetica” che io dico fallace
e pertanto vieppiù discutibile – ma alla mia voce, entità
psicofisica, e la mia opera, performance del mio pensiero e
della sua creazione. – Il pensiero, non dimenticare, è creazione di
linguaggio. – Mentre il pensiero della “differenza” come componente
sociale era, come è, ben lontano da me (essa è una conseguenza non
una causa del mio fare). Con diffrazioni che riguardano il rapporto
tra me come entità psico-fisica e il mio pensiero (diffrazioni
interne a me stessa); tra me, rapporto con il mio pensiero incluso,
e il fuori-mondo (diffrazioni esterne a me stessa); tra gli elementi
e i livelli del mio discorso-opera (diffrazioni interne alla mia
opera) e tra la mia opera, rapporto tra gli elementi e livelli
incluso, e il fuori-mondo (diffrazioni esterne alla mia opera); io
differisco, in quanto fonte di propagazioni di intuizione
agenti attraverso i miei processi percettivi e mentali, e così
attraverso la mia opera.
Diffrazioni era già ispirato al problema della coscienza.
Moody:
Quanto hai studiato la voce in passato? Hai preso lezioni di canto
convenzionali? Teoria della musica? E fino a che punto la tradizione
canora operistica italiana esercita un'influenza sul tuo lavoro?
Daniele:
Non ho
studiato canto o composizione in conservatorio, poiché non sono
interessata alla voce educata né alla mente educata che compone,
secondo i canoni; credo piuttosto profondamente che in ogni settore
le strade dell’accademia e dell’arte siano del tutto antipodiche. Ho
tuttavia studiato la teoria musicale da privatista in passato.
Attualmente, sono iscritta al Diploma Accademico in Tecnologie del
suono e Musica elettronica (presso il Conservatorio di Milano) per
approfondire questi aspetti che sono altro rispetto al canto, dal
momento che essi rappresentano una parte molto importante della mia
produzione. Questo studio mi ha del resto portato tra gli otto
finalisti del Premio Nazionale delle Arti, sezione musica
elettronica, che si è tenuto lo scorso 31 marzo a Benevento.
La
tradizione operistica italiana non ha alcuna influenza sul mio
lavoro. Ne ha invece e per ovvie ragioni il teatro sperimentale,
come quello di Antonine Artuad o dello stesso Stratos.
Io
credo che studiare sia una cosa profondamente intima, poiché ha a
che fare con i problemi della consapevolezza, della coscienza e
della conoscenza. Io studio la mia voce da anni e anni, come studio
me stessa e l’uomo.
Moody:
Sono interessato al fatto che sei originaria di Napoli e che ti sei
trasferita, da adulta a Milano? Questo ha a che fare con il fatto
che Milano è più ricettiva alle arti? Napoli era un punto morto per
la tua attività, nel senso che è più facile trovare pubblico al
Nord? O ci sono state altre ragioni?
Daniele:
L’Italia è un paese profondamente legato alla propria storia e alle
proprie tradizioni, e ogni forma di pensiero e di arte che miri ad
un orizzonte più ampio in un senso o in un altro inevitabilmente
rischia di essere definita astratta, distaccata dalla realtà
immediatamente prossima, quella che si ha sotto gli occhi. – Ciò non
ha a che fare con l’intellettualistico “peso della storia”, poiché
consiste di una dimensione sociale prima che sociologica. - A Napoli
questo sentimento collettivo è decisamente più forte e vivo in
considerazione delle tradizioni e costumi locali.
Sulla
problematica del reale il mio pensiero è molto attivo: io penso
vivamente che gli individui – gli esseri umani di ogni parte – non
abbiano occhi per comprendere la realtà di se stessi, annebbiati
dalla società, fallacemente convinti che questa sia tutta la realtà
possibile. La società non è che una forma di realtà, e l’uomo non ne
può conoscere altre dal momento che ignora se stesso.
In tal
senso, nel campo delle più attive riflessioni sulla realtà, posso
dire di condividere il pensiero di Pasolini. Egli pur analizzando le
situazioni immediatamente prossime, i problemi sociali più evidenti
(nei romanzi, nel suo primo cinema) impegna il suo pensiero in
filosofia e linguistica, di cui le riflessioni sull’uomo nella sua
veste sociale rappresentano una declinazione. Il pensiero umano e il
problema della sua articolazione in rapporto a consapevolezza e
conoscenza è a monte di ogni problema, ogni storia, tradizione,
caratteristica locale.
La
realtà che vedo
io è ed è sempre stata l’inconsapevolezza
umana (dell’uomo sull’uomo) in un’ottica filosofica ed esistenziale.
Ciò va infine considerato in
rapporto alla mia visione dell’arte essa stessa reticolare e che
lega in particolare profondamente pensiero, linguaggio, espressione
ed esistenza.
Sicuramente si mi sono mossa verso Milano considerando Napoli un
punto morto per la mia attività. Da Napoli a Milano però sono ancora
in Italia, per ora.
Moody:
Il Dramma della Coscienza sembra nel complesso sviluppare
maggiormente il trattamento digitale del suono e l'utilizzo di suoni
non vocali. Eppure ancora suona, alle mie orecchie, come se il tutto
sia un lavoro solista, di un tipo che non è influenzato in nessun
modo da alcuna energia collaborativa. Sei consapevole di quanto tu
sia un'artista solista? E che valore ha l'incremento dei trattamenti
digitali su alcune di queste tracce? Pensi di essere influenzata da
qualche altro fautore dell'arte digitale in Europa? O si tratta di
un naturale sviluppo del lavoro nell'ambito dell'utilizzo del
computer?
Daniele:
Sono un’artista solista
nella misura in cui scrivo le mie opere. Il compositore, lo
scrittore e il pittore sono uguali in tal senso; proprio per questo
dalla metà del Novecento l’opera d’arte in tutte le sue forme viene
considerata come “testo”, in riferimento agli importanti sviluppi
della linguistica in rapporto alla filosofia, da cui l’articolazione
del pensiero. Ciò in musica è particolarmente vero nel campo
dell’elettronica, dove il problema degli esecutori è risolto in
partenza e fare musica per chi crea significa esprimere se stesso
direttamente da se stesso con il tramite della macchina. Io non
chiamo questo “freddezza” o “staticità”, dovute all’assenza di
esseri umani esecutori di strumento; io chiamo questo “diretto mio
volere”, dal momento che la macchina riproduce impeccabilmente il
mio esatto lavoro di mesi ed anni.
Quando io lavoro ai
suoni elettronici vi imprimo la mia volontà, in tal senso sono
autrice dei suoni, e non delego a nessun altro la responsabilità di
creare o modificare la sostanza sonora.
A ciò va aggiunto il
fatto che nessuno strumento può sostituire le possibilità di
produzione sonora al computer, con il quale si può indagare il suono
nelle sue più intime vibrazioni oltre che connetterlo in unità
creative attraverso il montaggio, e che non sono interessata agli
organici o agli strumenti tradizionali.
In secondo luogo,
l’indagine sul rapporto tra i mezzi elettronici e il “fare poetico”
è ciò che mi ha condotto ad estendere la mia produzione alla
creazione di suoni elettronici. Già in Diffrazioni ho usato
oltre la voce la tecnologia, ovvero ho lavorato all’elaborazione e
alla manipolazione in senso concreto attraverso il digitale; in
Aisthànomai, uso voce, tecnologia ed elettronica.
A questo discorso ho
dedicato buona parte del saggio incluso in Aisthànomai. Posso
qui enuclearlo citando il mio vivo interesse per la multimedialità,
come interconnessione di più mezzi e relazione tra il mondo
spirituale e quello fisico, tecnologie e istinto, tra diversi mezzi
e linguaggi. In particolare,
la
stratificazione di livelli corrisponde ai seguenti gruppi di
concetti:
Voce-materia-natura. Elettrnica-suono-tecnica.
Linguaggio-testo-concetto.
L’universo
dell’elettronica va considerata in connessione concettuale e fattiva
con l’universo del suono e della tecnica (nel suo senso di
tecnologia); così come l’universo della voce va considerato in
connessione con quello della materia e della natura, l’universo del
linguaggio con quello del testo e del concetto.
Quanto ad altri artisti
europei, non direi di sentirmi influenzata da questo o quello. Sono
interessata alle interconnessioni linguistiche nei termini in cui ho
scritto sopra, ad ogni approfondimento in tal senso proveniente da
qualsiasi ambito artistico, e resto affascinata da alcuni approcci
nel campo della musica elettroacustica e vocale, come quello di
Luciano Berio in Visage.
Moody:
Entrambi gli album hanno delle introduzioni, e Il Dramma della
Coscienza, sia nel suo titolo che nella particolarità dei titoli
delle composizioni, sembra riflettere la maniera operistica, o, al
limite, dell'opera da camera. E cosa dici riguardo la popular song?
Ha avuto qualche impatto su di te che sei giovane, o sul modo in cui
lavori?
Daniele:
Nel mio interesse per la stratificazione di livelli, la parola
“opera” non corrisponde al significato strettamente tradizionale del
termine, di rappresentazione teatrale e musicale cantata e recitata;
bensì, al prodotto di un’attività intellettuale e artistica, in
riferimento al suo significato di “opera d’arte” ovvero di “forma”
emblematica ed evocativa quanto reale e tangibile. Proprio in
quest’ottica si pone il mio lavoro tra i mezzi elettronici e il
“fare poetico”.
Come accennavo anche
prima, sono molto vicina al blues e al jazz, nella misura in cui amo
le cose più vere e profonde; in particolare amo l’ultimo periodo di
Billie Holiday quanto a vocalità; Miles Davis quanto a composizione.
Mi viene in mente un
testo che scrissi n occasione di un concerto di Odetta a Milano,
intitolato “la mia anima blues”; in cui riflettevo sulla ricezione
del blues da parte del pubblico italiano, nonché sul mio rapporto
con il blues. Scrivevo: il pubblico dei locali che ascolta con
piacere il blues nella proposizione delle numerosissime coverband,
oggi giorno, non è abituato a partecipare di un’esperienza emotiva
intensa come è potuta essere l’esibizione di Odetta a Milano (...)
La forza del canto e i significati dell’espressione vocale, nella
mia esperienza, non possono prescindere da osservazioni di questo
tipo. La musica da definire realmente colta oggi non esiste che
contaminata, in connessione ad un processo storico che ha avuto
inizio con la codifica in sede critica del blues e del jazz.
Il mio lavoro, il cui
riconoscimento si deve al Premio Demetrio Stratos, affonda le
sue radici in tutto ciò che si riconosce vero a priori di ogni
concettualità. Non sarei in grado di studiare l’opera di Stratos se
non sentissi una tale forza ad animarmi il petto; né di proporre
alcun tipo di approccio alla vocalità non condizionata se non mi
identificassi con quanto verbalmente può essere definito
“essere-dare voce”.
Lo stesso Demetrio
Stratos era anzitutto un blues singer e il cantante dello storico
Area popular group.
Infine ricordo che ho
omaggiato in Aisthànomai il Miles Davis della colonna sonora
del film francese, primo di Louis Malle, Ascenseur pour
l’échafaud (1958), con i brani Nuit sur les Champs-Élisées,
take I e II; sul rapporto tra musica e immagine in questo film ho
lavorato per la mia tesi di laurea tra il 2006 e il 2008,
parallelamente alla lavorazione di Aisthànomai. Questo testo,
dunque molto importante, è in corso di pubblicazione in italiano per
le edizioni letterarie RDM.
Moody:
La maggior parte delle opere contemporanee
nel campo della tecnica vocale estesa evitano il testo, come se il
testo dia qualcosa di troppo, e, dal momento che il mio italiano è
scarso, considero il tuo lavoro nello stesso modo, perché non
capisco la lingua. Ciò vuol dire che io, ascoltatore americano, non
ho nessuna idea riguardo il testo. Puoi accennare qualcosa in merito
per gli ascoltatori americani? Nel tuo lavoro c'è un soggetto e una
direzione a livello testuale che dovremmo conoscere?
Daniele:
Anche
l’uso della lingua si inserisce nel discorso di “opera” che facevo
più sopra, nell’ottica della stratificazione di livelli enucleata
così:
Voce-materia-natura. Elettrnica-suono-tecnica.
Linguaggio-testo-concetto.
In tal senso la mia
opera non nasce per essere identificata come un lavoro di tecnica
“vocale estesa”, anche se si tratta di una bella definizione. Io
considero negativamente le definizioni e così anche le definizioni
relative le tecniche note, in quanto barriere mentali poco fruttuose
per l’energia creativa personale e lo sviluppo del proprio pensiero
e della propria unica tecnica.
Ogni tecnica va utilizzata all’interno delle proprie necessità
espressive, per creare l’opera;
ma nessuna tecnica determina la mia opera. Con parole diverse: prima
ci sono io, il mio pensiero e la mia energia creativa, poi le
tecniche (quelle della storia e qualche mia invenzione personale)
che utilizzo come mezzo. La mia energia passa per le tecniche
servendosi di esse, non viceversa. - Anche di questo ho approfondito
nel saggio sopracitato che invito a leggere. – Così, la “vocale
estesa” è una tecnica che declino naturalmente in rapporto alle mie
necessità espressive; non diversamente mi succede con l’impiego
della lingua. – Ogni settore tende ad imporsi nel sistema culturale
lato definendo il più possibile la propria autonomia nei confronti
degli altri settori, la propria specificità; così la scrittura è
vera solo se resta carta stampata e ha già un valore diverso o
minore se per esempio diviene una sceneggiatura; così la musica è
vera solo se resta materiale discografico o da concerto e ha valore
diverso o minore se nasce per essere la colonna sonora di un film o
di un'installazione; allo stesso modo la voce come strumento
dichiara la sua specificità sganciandoci da musica e lingua per
essere “vocale estesa”; ma il mio interesse è vivo nelle
interconnessioni e considero la cultura come una rete, individuando
nella categorizzazione il buco nero dello sviluppo mentale umano. –
La
lingua italiana è quella che utilizzo di più in quanto mia lingua
madre, e non può essere sostituita da altre in tal senso; uso
tuttavia anche passi di inglese e francese. Talvolta scrivo
direttamente in inglese, è il caso di Fallacità take II,
qualche inedito e qualcos’altro a cui attualmente sto lavorando. Mi
preoccupo inoltre di fornire una traduzione in inglese di tutto,
infatti Aisthànomai ha un libretto di 36 pagine; la poesia e
i testi utilizzati sono una parte importante dell’opera. Molti testi
sono poetici prima che musicali e possono anche essere eseguiti dal
vivo in un’altra lingua (come Poesis I e II). Fuori
dall’Italia ho recitato in inglese, infatti, per ampliare il raggio
di comunicabilità. Lo stesso discorso però non può essere fatto per
le forme song nate con un testo in italiano e in relazione
con esso (come Echo o Fallacità). Ho sperimentato
talvolta, sempre in forma improvvisativa, versioni in inglese di
alcuni pezzi. Particolarmente felice è la versione Matter
(del brano Materia) di un video registrato in Slovacchia, che
registrerò prossimamente per includerla nel nuovo lavoro
discografico.
Moody:
Mi ha interessato leggere che molto di questo lavoro è improvvisato.
Improvvisi in studio di registrazione? O lavori al di fuori di una
linea guida, magari durante la performance, e poi vai in studio con
qualche idea di forma o di brano? O veramente fai ogni pezzo proprio
così come viene? E nel caso delle sovrapposizioni, torni indietro e
registri su una precedente improvvisazione, o fai tutto sul momento
con un programma o dispositivo a "loop"?
Daniele:
Diffrazioni Sonore
nasce a partire dalla registrazione di un’improvvisazione in studio
di circa tre ore, un’unica sessione, alla quale ho lavorato fino ad
ottenere la forma finale del disco. Da un lato, la registrazione
rappresenta un saggio dello studio compiuto negli anni precedenti
sulla voce, in relazione alla “liberazione/scoperta” della propria
voce oltre ogni limite/tecnica, esperienza estremamente individuale
alla quale invito chi voglia acquisire sensibilità del proprio
essere attraverso la vibrazione delle corde vocali (che funzionano
in rapporto ai muscoli della laringe), in una congiunzione
corpo-spirito unica e indefinibile; dall’altro, ogni traccia a voci
sovrapposte è il frutto di un lavoro compositivo al computer
(elaborazione, “modellazione” concreta) estremamente intenso; nel
testo introduttivo al disco (cover inside) ho parlato esplicitamente
di “montaggio che considero opera” nel senso del tutto “concreto”
dell’espressione.
In
Aisthànomai le parti recitate e le poesie con vocalizzi sono
sempre improvvisate in studio, poiché nell’improvvisazione ciò che
conta è l’istintività e la carica espressiva, componenti che
le mie composizioni poetiche in musica richiedono fortemente. Le
voci sovrapposte, nel caso di questo disco, furono registrate in un
secondo momento rispetto la voce principale; le sessioni di
registrazione sono state diverse nell’arco di due anni. Diverse
composizioni o brani si sono formate nel corso delle performance,
altre invece sono il frutto di un’organizzazione ben precisa in
partenza.
Moody:
Quante performance fai regolarmente in Europa? E possiamo aspettarci
di vederti suonare a New York? E a cosa stai lavorando attualmente?
Ci sono altri progetti ai quali stai lavorando oltre la musica?
Ho
fatto 12 concerti in 3 anni. Nell’ultimo anno sono stata ferma, per
poi presentare, a Milano, lo scorso 20 marzo, una parte del nuovo
album a cui mi sto dedicando. I contesti in cui presentare il mio
lavoro sono pochi e spesso mi rifiuto di suonare in luoghi o
occasioni poiché inadeguati. Proposte dagli States non sono venute
in tal senso, noi del resto non abbiamo ancora cercato ma lo faremo
presto; il numero maggiore di vendite lo registriamo in America.
Attualmente sto lavorando al progetto
«Spannung»
– cito dalla presentazione ufficiale –, dal termine con cui
Heidegger indica l’apertura, lo spaziamento, la tensione (e
lo struggimento) dell’essere nella dimensione dell’autenticità
dell’esistere. – La dimensione mai adeguatamente discussa, necessita
di modi intimi e nuovi ogni volta, lontano dai luoghi comuni e
dell’intelletto e degli schemi compositivi. – Nella concretezza e
nella temporalità della condizione umana, l’essere che lotta è egli
stesso forza: “tensione della forza stessa.” (J. Derrida). A tutti i
livelli dell'opera, concettuale e di pensiero, artistico, letterario
e poetico, musicale, compositivo, vocale, estetico: non il
compimento ma l’apertura, non il sistema né la sua negazione oggi
anch’essa sistema, ma la tensione, che è sempre azione, forza in
atto.
Sto inoltre lavorando alla definizione di una raccolta saggistica
che citavo più sopra, in cui confluiranno le mie riflessioni sul
“discorso vocale” con continui approfondimenti sul mio modo di
produrre.
Entrambi i lavori saranno pubblicati da RDM Records Edizioni
discografiche e letterarie, fondate quest’anno da me medesima in
collaborazione con il mio socio musicista Lorenzo Marranini; il suo
primo disco è in lavorazione e vi
parteciperò per qualche brano.
Oltre alla pubblicazione dei nostri lavori, dichiariamo: di voler
favorire ogni movimento e attività mirante alla ricerca e alla
sperimentazione di nuove forme espressive; i prodotti di pensiero e
azione in quanto tali, ovvero il cui concepimento e la cui creazione
si impongono come realtà, energia in forza di
essere;
la produzione umana in toto, poiché non solo ci sembra che oggi
scarseggino dei veri creatori, ma che anche scarseggino dei veri
editori; questi ultimi occupati con interessi di impresa piccoli o
grandi, vertono sulla bravura senza talento, la confezione senza
ingegno, la mancanza di gusto di chi non ha interessi specifici e
peculiari.
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